LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 27

 

1° maggio 2016 – 6^ Domenica del Tempo di Pasqua

Ciclo liturgico: anno C

 

Se uno mi ama, osserva la mia parola, dice il Signore,

e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.

 

Giovanni 14,23-29     (At 15,1-2.22-29 - Salmo: 66 - Ap 21,10-14)

 

 

O Dio, che hai promesso di stabilire la tua dimora in quanti ascoltano la tua parola e la mettono in pratica, manda il tuo Spirito, perché richiami al nostro cuore tutto quello che il Cristo ha fatto e insegnato e ci renda capaci di testimoniarlo con le parole e con le opere.

 


1 Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2 Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? 3 Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. 4 E del luogo dove io vado, conoscete la via”. 5 Gli disse Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?”. 6 Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7 Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”. 8 Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. 9 Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? 10 Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. 11 Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. 12 In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. 13 E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. 14 Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò. 15 Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16 e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17 lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18 Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19 Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20 In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21 Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. 22 Gli disse Giuda, non l’Iscariota: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?”.

 

  1. In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:
  2. «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.
  3. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
  4. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi.
  5. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
  6. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
  7. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me.
  8. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.

 

30 Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; contro di me non può nulla, 31 ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco. Alzatevi, andiamo via di qui».

 

Spunti per la riflessione

Dimorare, ricordare, nella pace

Come possiamo accorgerci della gloria del Maestro Gesù in noi? Come riconoscerla negli eventi non sempre edificanti della storia? Come nell’esperienza della Chiesa?

Gesù durante l’ultima cena afferma di voler salvare Giuda e Pietro.

La salvezza manifesta la gloria di Dio, il desiderio immenso che egli ha di riempire il cuore di ogni uomo!

Oggi, concretamente, il Signore ci indica tre atteggiamenti per manifestare la vita del risorto nella nostra vita. In questo rinnovato tempo di Chiesa, in questo dolente tempo di crisi economica e politica, tempo rissoso e acido, disperante e sconfortato abbiamo urgente bisogno di tornare ad essere discepoli e a lasciare che sia il vangelo a giudicare gli eventi.

Dimorare

Gesù ci chiede di osservare la sua Parola, di realizzarla, di incarnarla nelle nostre scelte. Se la fede resta evento da tirare fuori un’ora a settimana o nei momenti di difficoltà non facciamo esperienza dell’essere abitati dal Padre e dal Figlio.

Gesù lo dice esplicitamente: abitare la Parola, frequentarla, conoscerla, pregarla, meditarla sortisce l’effetto di una inabitazione divina.

Niente apparizioni, per carità!

Ma la consapevolezza crescente di essere orientati verso Dio, l’esperienza di avvertire la sua presenza è possibile. La fede allora si riduce ad una scelta intellettuale, uno sforzo della volontà ma la dimensione perenne in cui abitiamo.

Dimorare: restare, non fuggire, non scostarsi.

Dimorare: abitare, conoscere, capire, frequentare.

A questo siamo chiamati per sperimentare la gloria.

Conosciamo e meditiamo la Parola che ci permette di accedere a Dio.

Ricordare

Non capiamo tutto, e ci mancherebbe, nemmeno la Chiesa possiede Dio interamente, ma da lui è posseduta.

Gesù ha detto e dato tutto, la Rivelazione è conclusa, non necessitiamo di veggenti che ci spieghino come fare. Ma non abbiamo ancora capito. O ci siamo dimenticati.

Lo Spirito ci viene in soccorso e ci illumina. Illumina la Chiesa nella comprensione delle parole del Maestro. Illumina la nostra coscienza e ci permette di capire cosa c’entri la fede con la nostra vita e le nostre scelte quotidiane. Ricorda quando ci scordiamo come quando, nel recente passato, i cristiani si erano “dimenticati” della radicalità del vangelo rispetto alla non violenza dissertando sulla guerra “giusta” (e a volte, purtroppo, benedetta e giustificata).

Invocare lo Spirito prima di ogni scelta, prima della preghiera, prima delle celebrazione dell’eucarestia ci permette di avvicinarci al vangelo con la freschezza che merita, con lo stupore di chi vi trova sempre delle novità.

Pacificati

Per sperimentare la gloria dobbiamo fare la pace in noi stessi. Il confine del male e del bene è nel nostro cuore, il nemico è dentro di noi, non fuori, e la prima autentica pacificazione deve avvenire nel nostro intimo con noi stessi e la nostra violenza e la nostra rabbia, la parte oscura che i discepoli chiamano peccato.

I cristiani, spesso, quando parlano di pace… pensano al cimitero! Una scorretta e parziale visione di fede, là dove il cristianesimo è fiacca e svogliata appartenenza parla di pace il primo novembre, pensando ai nostri defunti che riposano “in pace” (e che devono fare, ballare la samba?).

La pace, secondo la parola di Gesù, è il primo dono che egli fa, risorto, apparendo agli impauriti discepoli. Un cuore pacificato è un cuore saldo, irremovibile, che ha colto il suo posto nel mondo, che non si spaventa nelle avversità, non si dispera nel dolore, non si scoraggia nella fatica.

La scoperta di Dio, nella propria vita, l’incontro gioioso con lui, la percezione della sua bellezza, la conversione al Signore Gesù riconosciuto come Dio, suscita nel cuore delle persone una gioia profonda, sconosciuta, diversa da ogni altra gioia. È la gioia del sapersi conosciuti, amati, preziosi.

Dono di Cristo

Ecco, questa è la pace: sapersi nel cuore di una volontà benefica e salvifica, scoprirsi dentro il mistero nascosto del mondo. Credere in questo, adesione alla fede quasi sempre tormentata e sofferta, non immediata e leggera, dona la pace del cuore.

Io sono amato, tu sei amato.

Insieme a Dio possiamo cambiare il mondo.

Questa pace è pace profonda, pace salda, pace irremovibile, ben diversa dalla pace del mondo, pace che viene venduta come assenza di guerra o, peggio guerra che viene ritenuta necessaria per imporre la pace.

Pace del sapersi amati che permette di affrontare con serenità anche le paure.

Paura del futuro, della malattia, del lavoro precario, del non sapersi amati, paura. La pace del cuore, dono e conquista, fiamma da alimentare continuamente alla fiamma del risorto, aiuta ad affrontare la paura con fiducia, a non avere il cuore turbato. Alla fine di questi splendidi giorni di Pasqua, invochiamo il Consolatore, donato dal Padre, per affrontare la nostra quotidianità con la certezza della presenza del Signore, giorno dopo giorno, passo dopo passo.

Scelte

La prima comunità affronta un dilemma grave: occorre essere ebrei per diventare cristiani? Giacomo e la comunità di Gerusalemme spingono in questa direzione, Paolo e Barnaba, al contrario affermano che Gesù è venuto per ogni uomo, e lo dimostra il fatto di vedere la Parola convertire il cuore dei pagani. Lo scontro è duro, ma leale: a Gerusalemme gli apostoli discutono rudemente e, alla fine, danno ragione a Paolo. Questo è lo stile dell’essere Chiesa, decidere insieme nel rispetto dei propri ministeri e carismi, ascoltando il suggerimento dello Spirito. Questo è lo stile delle nostre comunità che prendono a cuore i problemi e cercano le soluzioni non a partire dall’emozione o dalle proprie opinioni, ma alla continua ricerca della volontà del Maestro.

 

 

 

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L’Autore

 

Paolo Curtaz

Ultimogenito di tre fratelli, figlio di un imprenditore edile e di una casalinga, ha terminato gli studi di scuola superiore presso l’istituto tecnico per geometri di Aosta nel 1984, per poi entrare nel seminario vescovile di Aosta; ha approfondito i suoi studi in pastorale giovanile e catechistica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma (1989/1990).

Ordinato sacerdote il 7 settembre 1990 da Ovidio Lari è stato nominato viceparroco di Courmayeur (1990/1993), di Saint Martin de Corlèans ad Aosta (1993/1997) e parroco di Valsavaranche, Rhêmes-Notre-Dame, Rhêmes-Saint-Georges e Introd (1997/2007).

Nel 1995 è stato nominato direttore dell’Ufficio catechistico diocesano, in seguito ha curato il coordinamento della pastorale giovanile cittadina. Dal 1999 al 2007 è stato responsabile dell’Ufficio dei beni culturali ecclesiastici della diocesi di Aosta. Nel 2004, grazie ad un gruppo di amici di Torino, fonda il sito tiraccontolaparola.it che pubblica il commento al vangelo domenicale e le sue conferenze audio. Negli stessi anni conduce la trasmissione radiofonica quotidiana Prima di tutto per il circuito nazionale Inblu della CEI e collabora alla rivista mensile Parola e preghiera Edizioni Paoline, che propone un cammino quotidiano di preghiera per l’uomo contemporaneo.

Dopo un periodo di discernimento, nel 2007 chiede di lasciare il ministero sacerdotale per dedicarsi in altro modo all’evangelizzazione. Oggi è sposato con Luisella e ha un figlio di nome Jakob.

Nel 2009 consegue il baccellierato in teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano con la tesi La figura del sacerdozio nell’epistolario di don Lorenzo Milani e nel 2011 la licenza in teologia pastorale presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma, sezione di Torino, con la tesi Internet e il servizio della Parola di Dio. Analisi critica di alcune omelie presenti nei maggiori siti web cattolici italiani.

Insieme ad alcuni amici, fonda l’associazione culturale Zaccheo (2004) con cui organizza conferenze di esegesi spirituale e viaggi culturali in Terra Santa e in Europa.

Come giornalista pubblicista ha collaborato con alcune riviste cristiane (Il Nostro Tempo, Famiglia Cristiana, L’Eco di Terrasanta) e con siti di pastorale cattolica.

Nel 1999 è stato uno dei protagonisti della campagna pubblicitaria della CEI per l’8x1000 alla Chiesa cattolica. Come parroco di Introd ha accolto per diverse volte papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI nelle loro vacanze estive a Les Combes, villaggio di Introd.

 

 

Esegesi biblica

 

 

 

Gesù “Via Verità e Vita” (14, 1-31)

Continua in questo capitolo il primo discorso di Gesù durante l’ultima cena (Gv 13,36-14,31). Questo discorso al pari del successivo (cc. 15-16), non si muove secondo un rigoroso senso filologico, ma presenta una costante atmosfera di commiato da parte di Gesù riguardo agli apostoli, e forti esortazioni alla fede e all’amore.

- Gli apostoli sono in uno stato di profondo turbamento (14,1-14) per le tre predizioni che Gesù ha fatto poco prima relativamente al tradimento di Giuda (13,21), alla sua dipartita da questo mondo (13,33) e al rinnegamento di Pietro (13,38).

Gesù li esorta a superare tale momento difficile invitandoli a credere in lui in modo rinnovato e più profondo: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (versetto 1). In questa esortazione a continuare a credere (il verbo “credere” è al tempo presente!), è notevole il fatto che la fede in Gesù (”in me”) venga messa sullo stesso piano della fede “in Dio”; questo parallelismo si ripresenta poco dopo con il verbo “conoscere” (”Se conoscete me, conoscerete anche il Padre” (v. 7) e con il verbo “vedere” (”Chi ha visto me ha visto il Padre” (v. 9). Si tratta quindi di un’unica fede, che ha per oggetto sia il Padre che il Figlio: “Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato” (12,42; cfr. 1 Gv 2,23). La ragione profonda di questo sta nel fatto che il Figlio possiede la stessa natura divina del Padre, come viene detto più avanti (vv. 9-11: “…Io sono nel Padre e il Padre è in me…). Per questo motivo anche la preghiera viene rivolta sia al Padre (cc. 15-16) che al Figlio (14,14).

Gli apostoli, mediante l’esercizio della fede, devono affidare la loro esistenza concreta, specialmente il turbamento di quel momento, al Padre e al Figlio; questo affidamento donerà loro una nuova luce, che li aiuterà a comprendere come la dipartita del Maestro sarà seguita da una sua presenza ancor più vitale.

 

- L’amore di Gesù e i suoi effetti (Gv. 14,15-31)

Ora il discorso si sposta sul dono dello Spirito Santo. Per consolare i discepoli, rattristati per la sua dipartita ormai imminente, Gesù fa queste promesse che realizzerà con la sua morte e risurrezione: lo Spirito Santo verrà ad abitare per sempre nei discepoli (vv. 15-17), lui stesso ritornerà da loro (vv. 19-21). E ancora lui e il Padre verranno in chi ama Gesù e prenderanno dimora presso di lui (v. 23). Il brano è dunque impostato in forma trinitaria, in modo tale da non separare le tre persone divine, per cui lo Spirito Santo è dato dal Padre su richiesta del Figlio, e, al pari dello Spirito Santo (v. 17), anche il Padre e il Figlio verranno ad abitare nel credente (vv. 21.23).

 

- “Il Paraclito sarà in voi”

Il brano inizia precisando in che cosa consista il vero amore dei discepoli nei riguardi di Gesù: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (v. 15). Il comando dell’amore si unisce armoniosamente anche alle altre due promesse: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama” (v. 21), e Gesù si manifesterà a lui: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (v. 23), il Padre e il Figlio prenderanno dimora presso di lui”. Infine, il v. 24 ripete in forma negativa i concetti precedenti: “Chi non mi ama, non osserva le mie parole”.

Sono doverosi alcuni rilievi. Si tratta innanzitutto di un amore di risposta a quello di Gesù stesso, che da sempre ha amato i discepoli di amore infinito: “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (13,1). Va anche ricordato che Dio è amore e sorgente dell’amore: “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi” (1 Gv 4,10; cfr. 4,8.16).

Ne segue che l’amore dei discepoli verso Gesù è solo amore di risposta. Inoltre, si tratta di un amore non sentimentale, ma concreto, fondato sull’accoglienza della parola di Gesù e sulla pratica della sua volontà. La pratica dell’amore fraterno – richiamata vigorosamente nei discorsi dell’ultima cena (13,34-35; 15,12-14) -  è il segno manifesto che il credente ama davvero il Figlio e il Padre: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi” (15,12), e “chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1 Gv 4,21). Infine, è proprio questo amore concreto e operoso per Cristo che apre all’uomo la vita della comunione trinitaria.

Affermato il precetto dell’amore, Gesù promette: “Il Padre vi darà un altro Paraclito” (v. 16). Solo Giovanni usa questo termine forense “difensore” per indicare sia lo Spirito Santo (14,16.26; 15,26; 16,7) sia Gesù stesso (”Abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto” 1 Gv 2,1). Quindi, il Paràclito è, al pari di Gesù (”un altro Consolatore”) persona divina.

Viene chiamato anche “lo Spirito di verità (v. 17; 15,26; 16,13) e “Spirito Santo” (15,26).

L’opera del Paraclito, secondo i discorsi dell’ultima cena, è molteplice.

- Nei riguardi di Gesù: gli rende testimonianza dinanzi ai discepoli (15, 26-27) e lo glorifica (16,14).

- Nei riguardi dei discepoli: rimane in loro (v. 17), è loro maestro (14,26) e guida (16,13), in quanto li introduce alla piena comprensione dell’insegnamento di Cristo e li rende testimoni (15,27).

- Nei riguardi del “mondo”, considerato qui come ostile alla verità e all’amore è critico: un mondo del genere non può conoscere lo Spirito di verità (v. 17), lo Spirito denuncerà le colpe del mondo (16, 8-11).

Ci sono inoltre affermazioni fondamentali riguardanti l’ “inabitazione” dello Spirito. Il Padre darà ai discepoli il Paraclito “perché rimanga con voi sempre” (v. 16), e Gesù dice che lo Spirito di verità “dimora presso di voi e sarà in voi” (v. 17). Se si bada attentamente a queste affermazioni si possono individuare due fasi della presenza dello Spirito sui discepoli.

- La prima riguarda il periodo della vita terrena di Gesù: per il fatto che lo Spirito “scese e rimase” (1,34) su di lui, ne consegue che grazie alla presenza di Cristo in mezzo agli apostoli, anche lo Spirito “dimora presso di voi”.

  1. A questa fase ne succede un’altra che incomincia con la risurrezione, quando lo Spirito sarà “in voi” e “per sempre”. Quindi alla fase della “vicinanza” succede quella dell’ “inabitazione”, che prosegue per tutto il tempo della Chiesa (”per sempre”): questa fase è anche la nostra.

 

- “Ritornerò da voi”

Accenniamo alle altre due “immanenze” – quella del Figlio e quella del Padre – nei credenti.

La glorificazione di Gesù non solo comporterà il dono dello Spirito (7,39), ma anche la presenza del Risorto nell’intimo dei discepoli: “In quel giorno – nel periodo escatologico che inizia con la Risurrezione di Gesù e termina con la sua parusìa – voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi” (v. 20). Si tratta non soltanto delle apparizioni pasquali (”voi mi vedrete” v. 19), ma anche della luce della fede che fa conoscere le relazioni che intercorrono tra il Maestro e i discepoli (”voi in me e io in voi”), relazioni analoghe a quelle che esistono tra Figlio e Padre (”io sono nel Padre”). Gesù non ci lascia orfani perché dimora in noi.

 

- “Prenderemo dimora presso di lui”

Gesù afferma: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (v. 23).

Si conclude così la serie: lo Spirito Santo, il Figlio e il Padre vengono ad abitare negli apostoli e nei cristiani di ogni tempo, e questi possiedono già ora un anticipo della presenza beatificante del cielo.

Ci chiediamo: una dottrina così sublime, quale è quella dell’inabitazione della Trinità nel credente, come può essere accolta dall’uomo d’oggi, tanto preso dalle cose materiali e immediate?

È questo uno dei casi nel quale dobbiamo fare affidamento sull’efficacia della parola di Dio e sull’aiuto della grazia.

L’evangelista Giovanni e l’apostolo Paolo hanno proposto una dottrina del genere non solo ai giudei, ma anche ai pagani, che l’hanno accolta.

Suor Elisabetta della Trinità (1880-1906) ha fatto di questa dottrina il fulcro della sua santità: “Ho trovato il cielo sulla terra, poiché il cielo è Dio, e Dio è nella mia anima… i tre che abitano in me… mio Dio Trinità che adoro”.

Forse l’uomo moderno aspetta, più che mai, che gli venga indicata questa sorgente purissima della rivelazione del Nuovo Testamento.